LA VERITÀ FA MALE: ECCO PERCHÉ
“La verità fa male, ma libera”
di Daniel Cerami
Se le pubblicità dicessero la verità, forse ci sarebbe un mondo migliore. Un mondo in cui nessuno ti prende per scemo mentre ti vende una vaschetta di yogurt come fosse la chiave della felicità. Dove la modella della crema antirughe ha le rughe, il mascara sbava se piangi davvero, e il detersivo funziona… ma non ti cambia la vita.
Viviamo in una giostra di promesse gonfiate, dove anche il più banale dei prodotti diventa “rivoluzionario”. Ma la vera rivoluzione sarebbe dire le cose come stanno. Altro che “progettiamo insieme la tua cucina”. Ma davvero? Certo che la progettiamo insieme, chi dovrebbe progettarla, il gatto? Io ti do le misure, ti porto la mia idea, e tu la metti su carta. È una collaborazione, non una poesia.
E le campagne politiche?
Le stesse. Volti sorridenti, slogan appiccicati come post-it, promesse lisce e patinate come le pubblicità dello shampoo. E poi? Poi ti accorgi che dietro quei volti spesso c’è solo trucco, non verità. Immagina se i politici dicessero: “Non cambieremo il mondo, ma forse possiamo sistemare il marciapiede davanti casa tua.” Sarebbe già un passo avanti.
Pensate se nelle pubblicità di trucchi e moda usassero volti veri. Quelli che vedi alla fermata dell’autobus, con l’occhiaia della sveglia alle 6, la ricrescita in bella vista, la ruga d’espressione che dice “la vita non è un filtro Instagram”. Sarebbe più difficile vendere l’illusione, certo. Ma magari si venderebbe qualcosa di più prezioso: la fiducia.
E le etichette? Una bottiglia di tè freddo che dice: “Sono acqua, zucchero e aromi artificiali. Non ti disseterò, ma ti farò credere di farlo”. O uno snack che dichiara: “Ti illudo con 89 calorie a porzione, ma chi mangia solo una porzione?”. Scommettiamo che inizieremmo a lasciare un sacco di roba sugli scaffali?
La verità, signori, è scomoda. Ma se avessimo il coraggio di metterla al centro, di vivere, consumare, scegliere e votare con la consapevolezza al posto della finzione, forse vivremmo tutti meglio. Non perfetti, non patinati. Ma reali.
Ed è lì che inizia il cambiamento.
Non sulle etichette. Ma negli occhi di chi finalmente apre gli occhi.