MEGHALAYA. IL NOSTRO VIAGGIO IN INDIA INIZIA QUI

IL NOSTRO VIAGGIO FRA FORESTE SACRE, PONTI CHE RESPIRANO E DINOSAURI

 
No, non è una visione psichedelica di Lucy in the Sky with Diamonds…tutt’altro.
E’ uno stato, è reale, e si chiama Meghalaya.
Questa terra magica, unica nel suo genere, si trova nel nord-est dell’India; se da Calcutta salite verso nord, infilandovi poi nello stretto corridoio fra Bhutan e Bangladesh sarete accolti dalle 7 Sorelle: Assam, Manipur, Mizoram, Meghalaya, Tripura, Arunachal Pradesh e Nagaland. Zone poco conosciute dai viaggiatori occidentali, incontaminate, zone rimaste indietro nello sviluppo della società.
In molti di questi stati vi sono ancora tribù antichissime che vivono in maniera quasi primordiale, aree immense coperte di giungla fittissima o di imponenti montagne.
Non avendo abbastanza tempo per visitarli tutti, a causa della stagione delle piogge imminente, delle pessime condizioni delle strade e della quasi totale assenza di trasporti, abbiamo deciso di concentrarci solo su uno: il verdissimo Meghalaya, il cui nome in sanscrito significa “la dimora delle nuvole” ma soprannominata da molti “la Scozia dell’India”.
Appena varcato il confine si percepisce immediatamente la differenza con molte altre zone dell’India: le colline sono verdissime, la vegetazione rigogliosa, vi è abbondanza di cascate e corsi d’acqua… ma soprattutto la pulizia! Entrando in Meghalaya i rifiuti ai lati della strada scompaiono completamente, cominciano a comparire numerosi cestini portanti la scritta “Use Me”, e persino la raccolta differenziata viene promossa con cartelloni pubblicitari e bidoni separati. Uno shock! Chi di voi è stato in India saprà già che queste cose sono praticamente inesistenti in molte altre zone; se non siete stati, sappiatelo.
Giunti a Shillong, la capitale, sopraggiungono le prime difficoltà: nei giorni precedenti c’è stata una rivolta di alcune tribù locali contro altre tribù e l’esercito, per motivi che non siamo riusciti a capire nel dettaglio, e per questo il governo, volendo evitare la diffusione di notizie, ha completamente bloccato la connessione ad Internet (mobile e fissa) in tutto lo stato. Assieme alla nostra cara amica Martina che ha deciso di raggiungerci per condividere insieme una parte di viaggio, ci siamo quindi ritrovati in un clima di tensione, con militari che imponevano il coprifuoco dopo il crepuscolo, e privi di connessione internet: incapaci quindi di comunicare con le famiglie e di poter fare ricerche su internet per capire come organizzare la nostra permanenza in Meghalaya.
Brancolando nel buio, decidiamo di andare come prima cosa a esplorare la fittissima giungla nella zona di Cherrapunji, famosa per i suoi ponti fatti di radici e per essere uno dei luoghi più umidi al mondo. Effettivamente questo record è più che meritato: in tutta la nostra permanenza non siamo stati asciutti un secondo, sia per le piogge quasi costanti sia, fra una pioggia e l’altra, per l’altissimo livello di umidità.
Dal paese di Cherrapunji, al di la delle verdissime colline, si possono ammirare degli scorci sulle pianure del Bangladesh a pochi chilometri in linea d’aria, ma la vera magia comincia quando si inizia a scendere lungo la ripida strada che porta a Tyrna: di fronte a noi si erge sopra la fitta giungla un’enorme parete di roccia da cui scendono decine di meravigliose cascate, in un’ambientazione che potrebbe ricordare quella di King Kong, o meglio ancora di Jurassic Park. Chiudendo gli occhi si può quasi immaginare la presenza dei dinosauri, di essere entrati in una macchina del tempo e di trovarsi nella preistoria. Visioni che lasciano senza parole.
Da Tyrna, una ripidissima scala di SOLO 3800 gradini che fronteggia questa parete rocciosa ci porta in uno degli scenari più spettacolari che abbiamo mai visto durante questo viaggio in Asia. Questa volta chiudete voi gli occhi e provate ad immaginarlo seguendo le nostre parole: immaginate di scendere da queste scale e trovarvi in una foresta con vegetazione tropicale fittissima, piena di alberi stranissimi, liane, insetti di ogni tipo; pensate di dover attraversare dei torrenti impetuosi camminando su dei ponti fatti di radici delle piante intrecciate: si, avete capito benissimo! Le tribù locali, tanti anni fa, hanno “insegnato” alle radici delle piante a crescere in maniera che, intersecandosi fra di loro, formassero la trama di un ponte sul quale poi gli stessi avrebbero potuto attraversare i fiumi in piena. Immaginate poi, superato lo stupore di questi primi ponti, di arrivare nel minuscolo villaggio di Nongriat, dove si trova un altro ponte fatto di radici.. a due piani! Due alberi immensi ai due lati opposti del torrente, in un lungo lavoro di crescita durato centinaia di anni, hanno intersecato le radici a due diverse altezze, in modo da creare due ponti, uno basso e uno più alto da utilizzare durante le stagioni dei monsoni, quando il fiume è in piena e il primo ponte viene sommerso: insomma Tower Bridge di Londra fatte da parte!
Nongriat è umidissima, non si vede mai il sole e piove sempre, ma è un luogo speciale. Nonostante alcuni turisti indiani scendano per visitare i ponti di radici, pochissime persone decidono di fermarsi per la notte. Ci siamo quindi trovati a trascorrere giornate intere a contatto con la gente locale, che spesso ci hanno intrattenuti con storie, giochi da tavolo, musica e danze.
Dal Nongriat vi sono ulteriori passeggiate nella giungla che portano ad altri paesini inerpicati sui versanti della valle o ad alcune cascate. Un’esperienza decisamente fuori dal comune.
Dopo aver abbandonato questo angolo di paradiso ed esser risaliti alla civiltà ripercorrendo, questa volta in salita, i 3800 scalini, abbiamo diviso un taxi con Steve, un simpatico cinquantenne di Bristol in viaggio da parecchi mesi, e insieme siamo tornati a Shillong, dove abbiamo alloggiato in un ostello gestito da dei giovani simpaticissimi con cui abbiamo fatto festa e ballato fino a tardi.
Il giorno prima della partenza siamo andati a visitare la Foresta Sacra di Mawphlang, ad una cinquantina di chilometri dalla capitale. In questa foresta, venerata dalle tribù locali e al cui interno si consumavano numerosi rituali che prevedevano talvolta anche sacrifici agli dei, è proibito raccogliere, strappare o portare via qualsiasi cosa vivente o non, in quanto tutta la foresta è proprietà delle divinità. La foresta ricorda quelle dei film di Robin Hood o alcuni scorci della Foresta Nera, è ricchissima di specie vegetali dalle forme curiose e da alcune specie di funghi coloratissimi.
In serata siamo ritornati in ostello e dopo una bevuta con altri ragazzi e con i gestori, siamo andati a letto presto, per prepararci per la giornata successiva: il viaggio verso in verdissimo Darjeeling dai panorami mozzafiato.
Quella del Meghalaya è stata la prima tappa di questo viaggio in India, una tappa umida, verdissima, rigogliosa e pulita, uno stato che ci ha sorpreso e incantato, un lato dell’India che pochi conoscono, e forse è anche per questo che è così speciale.

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