LORIT LA RECENSIONE DELLA PRIMA A TRENTO

Ha debuttato domenica 21 gennaio a Trento, in Prima assoluta, l’Opera da camera, Lorit di Marius Binder. Su libretto di Robert Posser, lo spettacolo Lorit è prodotto da Fondazione Stiffung Haydn in collaborazione con Tiroler Landestheater e TILLIT, Institut fuer Kunst und Wissenschaft.

Chi si aspettasse che l’Opera moderna rispecchi l’Opera classica, parte con un approccio che rimarrà deluso. Ma daltronde siamo figli del nostro tempo ed anche l’arte è figlia dei tempi che corrono. Specchio quindi di un mondo in crisi, in tutti i sensi.

Crisi di valori, crisi di ideali, crisi economica e sociale, crisi politica, crisi intellettuale, crisi personale.

Attenzione: non si può evitare qualche spoiler

Doveva essere un’opera che parlava di turismo, montagna e business, ed invece con un coup de théatre si accomiata con il pubblico lasciandolo con quell’interrogativo esistenziale: “chi sei tu?”.  La domanda delle domande. Quella che dalla notte dei tempi corre lungo il filo della storia e accarezza le menti di filosofi e intellettuali.

Chi sei tu? E ancora: saresti stata la medesima persona se fossi nato, cresciuto e vissuto in un diverso contesto?

Sono queste le domande che rivolge, negli ultimi minuti in scena, Tod, la Morte. Personaggio silente per tutta l’Opera accanto ai quattro protagonisti. Prima in veste di sciatore con tuta, occhiali, scarponi e sci ai piedi, poi mutato in abiti a metà fra giullare e montanaro, il bauer altoatesino.

Infine, rimasto in mutande e canottiera si rivolge al pubblico. Come dire che quando arrivi al dunque non hai più maschere da indossare perchè sei da solo con la tua coscienza, in un ultimo momento di verità.

Ecco questo è Lorit, che è speculare a Tirol letto al contrario, ultima utopia di un nugolo di protagonisti legati da un beffardo destino che li costringe a confrontarsi. Mentre ciascuno va incontro al suo destino e soccombe alla scena, Tod, Morte, rimasta silente prende la parola. Tod parla alla coscienza di ciascuno di noi ricordandoci che, alla fine, ciò che rimane è chi decidiamo di essere. Senza scuse, giustificazioni o recriminazioni.

La montagna quindi diventa metafora dell’eternità del tempo in cui ciascuno di noi è solo un battito d’ali o il tempo del battito di ciglia. Silente, maestosa e diario delle ere geologiche che hanno cambiato la faccia della terra, la montagna esisteva prima ed esisterà anche dopo di noi.

Possiamo cercare di domarla, violentarla, invaderla, fare business. La Montagna esiste e resiste. Non ha bisogno di noi.

L’uomo tende sempre a pensarsi al centro di ogni cosa. Come se tutto dovesse ruotare attorno all’IO. Invece la natura ci rimette al nostro posto. Quello di essere ospiti, non padroni.

Eppure Lorit si perde in tante occasioni perse per strizzare l’occhio al politicaly correct, ai  tanti clichè e stereotipi intellettuali e di costume, alla visione che sembra quasi un nostalgico grido di aiuto di chi ha girato le spalle alle proprie radici per vivere luci e riflettori della city.

Il ritratto che ne esce manca di quel senso di identità e di legame che invece è forte e tenace nelle genti di montagna. Un legame che fa struggere di nostalgia quando si lasciano le cime.

E’ pur vero che l’industria del turismo di massa è sempre più orientata a creare Disneyland e parchi divertimento, saune e spa con ristoranti gourmet in quota. Enormi squarci di metallo per seggiovie ed impianti di risalita. Su altrettanti paesaggi artificiali di piste da sci e bacini artificiali per la neve finta. E poi si parla di green ed ecosostenibilità, o impatto ambientale zero.

Ma che differenza c’è fra il voler trovare al supermercato le fragole in inverno e le arance con mandarini in piena estate? Gli stessi che poi fanno le proteste per il clima con Iphone e abiti griffati.

E’ la perdita di identità la vittima del globalismo, dove il mondo è il mio paese. Il chè vuol dire tutto ma anche niente. Il mondo è un’entità informe, venduta da marchi che fanno marketing. Il Paese è invece quel posto che ti dice chi sei perchè è legato al contesto in cui sei nato. Ha una sua peculiare natura che ti identifica e che, se sai vedere, ti regala immense ricchezze uniche che non troverai da nessuna altra parte.

Il vero mondo inclusivo dovrebbe essere quel mondo in cui quando vieni a casa mia, trovi le mie abitudini, i miei gusti, la mia cultura e rispetti tutto questo. Allo stesso modo io rispetto tutte le altre case. Inclusivo non può essere una amorfa mancanza di tutto che appiattisce tutto in una sorta di società senza identità.

Non è forse una pietra miliare della filosofia umana quel monito sul tempio di Apollo a Delfi che recitava “Conosci te stesso”?

Povera Politica se davvero, come è espresso in Lorit, è ridotta all’attivismo di Rebellion Exstintion. Un movimento che nemmeno nasconde gli sponsor in quei fondi di investimento internazionali che sono i diretti responsabili delle speculazioni contro natura verso cui protestano. Come dire dar da ripulire il mondo a chi ha fatto business inquinandolo, per fare un nuovo business. Eppure la nostra società riesce in questi voli pindarici di illogicità.

Povero business vittima della richiesta di un turismo elitario sempre più capriccioso. Povero turismo in cerca di un posto speciale e unico, che poi però non riesce a non condividere con la massa.

Un mondo allo sbando il nostro, pieno di contraddizioni, ben ritratto dalla colonna sonora. Musica spigolosa post melodica, al di là dell’armonia. Con un guazzabuglio in cui fa eco un jodeln accennato, qualche nota pop e disco, tanto per riassumere il romore di sottofondo della nostra epoca.E la sensazione che ti assale è quel non sentirsi a posto, ma alienato e fuori equilibrio.

Nulla da dire all’Orchestra Haydn, in formazione da camera, che come un guanto sa sempre interpretare con eleganza e duttilità il proprio impegno. Un elogio come valore aggiunto. Così come all’ambientazione, ossia quella cabina sospesa nel vuoto e nel tempo. Uno spazio reale e irreale allo stesso tempo. Una prigione, ma anche una liberazione in cui ciascuno libera la propria anima.

Un applauso che arriva dopo. Perchè quello in sala è dovuto. Questo invece è meditato, metabilizzato, digerito, vero. Ovviamente per chi ha raccolto la provocazione di Tod, Morte, e ha dialogato con lui, lei. In fondo la Morte è l’unica certezza che abbiamo. E proprio essa da valore alla nostra vita. Poi è ciascuno di noi che decide come giocarsela la partita, quel “Tot d” di tempo che ci è concesso. E forse, in fondo è proprio la morte la fida compagna che ci veglia per tutta l’esistenza terrena per accompagnarci poi nell’ultimo viaggio.

Insomma Lorit è quello spazio tempo non reale eeppure reale che ciascuno può riempire con il suo attimo di verità. In quella verità c’è lo specchio in cui specchiarsi e da cui ripartire.

 

 

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