4 ANNI DI TERRORE IN CAMBOGIA: GLI ANNI DEL REGIME DI POL POT

In questo agghiacciante capitolo non vogliamo raccontarvi una nostra storia, bensí la triste storia del popolo cambogiano durante il regime dei Khmer rossi guidati da Pol Pot.

Durante i suoi quattro anni al potere, dal 1975 al 1979, vennero uccise circa 2 milioni di persone, accusate di essere un ostacolo per lo sviluppo della nazione o traditori del partito.
Una storia purtroppo non molto conosciuta nel mondo occidentale.
Durante la nostra breve permanenza nella capitale Phnom Penh, abbiamo deciso di andare a visitare i due simboli principali di questo genocidio: la prigione di Tuol Sleng (o S21), dove tutti coloro giudicati colpevoli di tradimento vennero incarcerati e torturati, e le fosse comuni (o killing fields) di Choeung Ek, dove gli stessi, dopo esser stati costretti a confessare dei crimini mai commessi, venivano giustiziati e sepolti.
Ma iniziamo dal giorno in cui questo regime del terrore ebbe inizio: il 17 aprile 1975, dopo aver sconfitto il generale Lon Nol in una violenta guerra civile dove persero la vita 156 mila persone, l’esercito dei Khmer Rossi veniva accolto con gioia in una Phnom Penh speranzosa in una rinascita dopo la devastazione causata da combattimenti e bombardamenti americani (stime riportano che siano state sganciate sulla sola Cambogia più bombe di quante ne siano state sganciate durante tutta la Seconda Guerra Mondiale). Ahimè, non fu così. I Khmer rossi guidati dal loro leader Pol Pot, nel giro di 72 ore costrinsero tutti gli abitanti della capitale ad abbandonare le proprie case e a dirigersi verso le campagne: secondo la loro mentalità estremista-comunista, l’unico vero lavoro nobilitante era quello agricolo e edilizio. Per questo motivo luoghi di culto, banche, scuole e luoghi di svago come cinema e stadi vennero distrutti o utilizzati come magazzini o come prigioni dal regime, e al loro interno centinaia di migliaia di persone vennero torturate e persero la vita. Prigionieri di questi luoghi furono principalmente artisti, medici, banchieri, ingegneri, intellettuali, scienziati, insegnanti e tutte quelle professioni di cultura. La cultura infatti, era nemica del “Regime Democratico della Kampuchea”, e per questo doveva venir estirpata.
Negli anni successivi, chiunque fosse sospettato di essere un traditore, un cospiratore o un pericolo per il regime, membri del partito e soldati khmer inclusi, doveva essere interrogato e, se giudicato colpevole dall’Angkar (letteralmente ”l’organizzazione”, cioè il partito), doveva essere punito.

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La prigione di Tuol Sleng è solo una delle tante presenti in Cambogia durante quegli anni, ma qui vennero imprigionate e torturate circa 20,000 persone: di queste, solo 14 sopravvissero. Ai prigionieri venivano assegnate delle celle minuscole, di circa un metro per due, o addirittura venivano ammanettati assieme ad altre decine di persone in uno stanzone comune. Venivano picchiati giorno e notte se non rispondevano prontamente ad una domanda, se durante la notte si muovevano nel sonno facendo tintinnare le catene o se urlavano durante le torture. Queste consistevano in svariate atrocità, quali: annegamento controllato, causare infezioni delle ferite inserendovi insetti, scariche elettriche, amputazione controllata di vari arti, fustigazione.
Lo scopo della tortura era solo uno: estorcere la confessione al traditore. Spesso veniva chiesto loro di fare nomi di collaboratori, di agenti della CIA, di altri traditori, nonostante l’interrogato in questione fosse un povero lavoratore della provincia che neanche conosceva il significato della parola CIA.
Compito dell’aguzzino era inoltre quello di tenere in vita il prigioniero fino al momento della confessione. Quest’ultimo veniva addirittura curato se in fin di vita, per poter continuare la tortura il giorno successivo. Le cure, poiché tutti i medici erano stati già giustiziati, venivano somministrate da ragazzi senza un minimo di conoscenze mediche, i quali si limitavano a versare sale sulle ferite e a offrire ai pazienti la cosiddetta “Vitamina C”, che non era altro che un miscuglio di zucchero, farina e aceto.
Una volta estorta la confessione, il prigioniero finiva di essere utile e andava eliminato. Veniva quindi bendato e caricato su di un camion alla volta di Choeung Ek, circa 12 km a sud-ovest. Li veniva fatto denudare e inginocchiare sul bordo di una fossa comune, dove la sua vita terminava con un colpo in testa inflitto tramite un manganello, un’ascia o una spada. I proiettili non venivano usati in quanto costosi e rumorosi: avrebbero destato l’attenzione degli abitanti dei villaggi vicini.
Come sottofondo, una musica propagandistica veniva riprodotta da altoparlanti senza sosta. Lo scopo? Coprire gli urli e i gemiti dei condannati.
Inizialmente poche decine di persone a settimana venivano condotte alle fosse comuni per essere giustiziate, ma nell’ultimo anno del regime i camion arrivavano a scaricare fino a 300 persone a settimana.
Quando il governo di Pol Pot fu destituito, grazie ad un’alleanza fra vietnamiti e oppositori cambogiani nel 1979, le fosse vennero scoperte, e quello che vi trovarono fu agghiacciante: in ogni fossa centinaia di scheletri e corpi in putrefazione, di uomini, donne e bambini, alcuni addirittura decapitati.
Camminare nei corridoi della prigione di Tuol Sleng, così come tra le fosse di Choeung Ek è un’esperienza davvero toccante, in cui si percepisce la sofferenza e la disperazione che queste innocenti persone devono aver provato durante quei quattro terribili anni.
Questa storia, la storia del genocidio del popolo cambogiano perpetrata da Pol Pot e dai Khmer rossi è solo una delle tante dimenticate dal mondo occidentale, così come le guerre civili in Africa, le dittature in America latina durante la guerra fredda, il massacro compiuto da Stalin in Unione Sovietica, e molte altre ancora.
Il nostro compito in quanto cittadini del mondo è quello di mantenere viva la memoria, di creare consapevolezza di ciò che è stato e degli errori commessi in passato dal genere umano per evitare, si spera, che questi vengano ripetuti.

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