CHILLING IN CAMBOGIA

Dopo la volata sul Vietnam, sempre di corsa, spesso dormendo su nightbus sballonzolanti o in scomodi letti a castello nel caotico ostello di Ho Chi Minh, avevamo bisogno di qualche giorno di tregua. La Cambogia per fortuna è accorsa in nostro aiuto.

Prima tappa della nostra avventura in terra Khmer è stata Kampot, una cittadina sulla costa meridionale. Rinomata per il suo clima rilassato, con numerose alloggi in stile coloniale in centro, o guesthouse più alternative che offrono bungalows di legno in riva al fiume, Kampot è il posto giusto per staccare la spina.

Appena arrivati abbiamo trovato una stanza in una delle tante guesthouse in riva al fiume, con tanto di bar e tavolini sul pontile dal quale era anche possibile tuffarsi. Il tutto per 6 euro a notte: che goduria!
La cittadina, che si gira facilmente in bicicletta, offre una varietà di ristoranti e street food a prezzi modici, e spesso di qualità. Dobbiamo assolutamente consigliare il ristorante-bancarella Ciao! dove Diego prepara a mano e sul momento tagliatelle, gnocchi, ravioli e pizza, per non parlare delle polpette fatte secondo la ricetta della nonna abruzzese. A volte si aspetta anche fino ad un’ora e mezza, ma per assaporare del vero e delizioso cibo italiano dopo mesi di curry, salsa di soia e salsa agrodolce questo ed altro!
A proposito di cibo, vogliamo mettervi in guardia su una cosa: nei menù cambogiani la parola “happy” davanti a pizza o frullati non vuol dire che vi viene servita dal cameriere col sorriso, ma bensì che la pietanza è stata preparata usando olio, burro o latte infuso con marijuana. Se cercate lo sballo buon per voi, ma in caso contrario meglio saperle in anticipo queste cose, prima di trovarsi fatti come le pigne per 5-6 ore senza capire il perché.
Nei dintorni di Kampot vi sono svariate escursioni da fare in motorino, che può essere noleggiato per 4-5 euro al giorno: noi abbiamo deciso di spendere una giornata a visitare Bokor National Park. La “cavalcata” in scooter fra i tornanti è molto divertente ma il parco non è nulla di che: vuoi perché essendo la stagione secca le cascate erano un rivolo d’acqua, vuoi perché i cinesi hanno comprato metà collina per costruire obrobriosi hotel sulla sommità, Bokor non ci ha entusiasmato per nulla.
Un altro giorno invece l’abbiamo speso a Kep, cittadina a poche decine di chilometri, rinomata per il mercato del granchio. Per 6 dollari si può acquistare un chilo di granchi freschi che verranno cucinati per altri 2 dollari in una salsa aromatizzata al pepe di Kampot: non esageriamo dicendo che è stato probabilmente il piatto più buono assaggiato finora!
Nel pomeriggio abbiamo poi visitato una piantagione di pepe sviluppata secondo i principi della permacultura dove abbiamo assaggiato/annusato vari tipi di pepe e imparato alcune tecniche di coltivazione.

Dopo aver speso 4 giorni a Kampot ci siamo spostati a Sihanoukville, una città interamente in mano a imprese di costruzione cinesi. Si salva (forse ancora per qualche anno) la graziosa Otres Beach, una strada sterrata lunga qualche chilometro su cui sorgono ostelli e locali dove è possibile fare le ore piccole: Andrea è riuscito a ottenere un’ora di djset nella line up dello Psychedelic Friday party al Last Hippie Standing bar, e ha deliziato i presenti con dell’ottima psytrance al momento dell’alba (a scrivere questo è ovviamente Andrea che non perde mai occasione di auto-elogiarsi J).
Ad Otres beach ci hanno raggiunto anche un amico francese conosciuto a Londra e una ragazza norvegese, quindi si è deciso di spostarsi su una delle isole: ma quale scegliere?
Al largo di Sihanoukville vi sono svariate isole, tuttavia l’indecisione era fra tre: Koh Ta Kiev, Koh Rong e Koh Rong Samloem. La prima è ancora poco sviluppata, vi è corrente elettrica per qualche ora al giorno, vi sono poche guesthouse: decisamente un’esperienza interessante, ma non era quello che andavamo cercando.
Koh Rong invece è considerata una party island, con discoteche, bar e feste tutte le sere: questa opzione per noi era decisamente troppo caotica.
Si è quindi deciso che Koh Rong Samloem sarebbe stata la nostra tappa successiva! L’isola si raggiunge con un traghetto veloce che costa 22 dollari per andata e ritorno, e il ritorno è libero: basta decidere 12 ore prima della partenza e informare la biglietteria. Molto comodo nel caso che, come è successo a noi, si rimanga stregati dalla bellezza dell’isola e si decida di restare qualche giorno in più (alcuni rimandano la partenza anche di mesi!)
A Koh Rong Samloem vi sono svariate baie in cui è possibile alloggiare; tutti gli alloggi sono ubicati lungo la costa poiché il centro è dominato da una fitta giungla, per niente facile da attraversare. Noi abbiamo scelto di stare a M’Pai Bay, un villaggio di pescatori dove da qualche anno sono spuntate anche guesthouse e alloggi per i backpackers. Il clima nel villaggio è assolutamente rilassato, con solo un party hostel appena fuori dalla zona abitata; le spiagge limitrofe, alcune a pochi passi altre raggiungibili attraverso una camminata sugli scogli e nella giungla, sono splendide e l’acqua è limpidissima: è possibile fare snorkeling e diving a pochi metri dalla riva e la notte si può ammirare il plankton brillare sotto acqua. Uno spettacolo emozionante!
L’unico problema è dato dalle correnti che ahimè portano a riva tonnellate di immondizia gettata nella vicina Koh Rong o Sihanoukville: vi sono molti servizi di volontariato e alcune guesthouse offrono una birra omaggio in cambio di un sacchetto pieno di rifiuti. In questo modo si può contribuire a tenere l’isola pulita gustandosi poi, come piccola ricompensa, una Klang Beer ghiacciata in riva al mare.
Oggi è l’ultimo giorno in quest’angolo di paradiso poiché i nostri amici devono tornare sulla terraferma e noi dobbiamo proseguire il viaggio, ma lasciamo un pezzo di cuore in quest’isola idilliaca sperando, nel caso di una visita futura, di ritrovarlo ancora libero e felice nella giungla e nelle acque cristalline, e non sommerso dai rifiuti o dal cemento.

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