SCIAMANI MOSTRA FRA SUGGESTIONE E FASCINO

Visitabile fino al 30 giugno 2024, la mostra Sciamani, comunicare con l’invisibile, sfida la società ipertecnologica e chiama al legame dell’uomo con la natura e le sue radici.

Può l’uomo moderno comprendere lo sciamanesimo nella sua vera essenza?. Cosa esercita quel fascino verso il “mistero” per una società votata al credo tecnologico e alla fede assoluta verso la scienza?. Perchè immergersi in un mondo a noi così lontano, ucciso da anni di inquisizione, prima da parte della Chiesa e poi da parte di Illuminismo, industrializzazione e infine tecnologia? Chi sono i Sciamani oggi?

Perchè, volendo essere onesti fino in fondo, l’uomo di oggi deride tutto ciò che esula dalla materia, il qui ed ora, e sopratutto il socialmente accettato come dogma, o moda, o diktat da parte della maggioranza che fa massa critica da seguire per sentirsi omologati ed accettati.

Ebbene la mostra Sciamani, comunicare l’invisibile è un pugno nello stomaco alle certezze dell’uomo occidentale, tecnologico, alla moda e ben piantato nella società. Ovviamente sempre che davvero costui comprenda cosa sta vivendo in questo viaggio nei misteri del mondo e dell’uomo.

A rendere ancora più misterioso il tour nel mondo sciamanico è l’insieme dei partner da cui parte il proggetto di questa mostra suddivisa. Il progetto nasce infatti dalla collaborazione di tre musei trentini: MUSE – il Museo delle Scienze di Trento; Mart, il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, e METS – il Museo etnografico trentino San Michele. Ogni istituzione ha curato una sezione di mostra, realizzata in partnership con la Fondazione Sergio Poggianella, da cui provengono oltre cento reperti e manufatti originari della Cina, della Siberia e della Mongolia.

Quindi la mostra si suddivide su due sedi differenti: Palazzo delle Albere a Trento e il Museo Etnografico Trentino di San Michele all’Adige. Un vero gioiellino, quest’ultimo, che con la sua raccolta, invita in un viaggio nel tempo. Un ritorno al nostro passato legato alla lavorazione della campagna, il duro lavoro nei boschi, il vivere a contatto con la natura e gli animali. Una raccolta di grande valore per non scordare quel passato in fondo nemmeno così lontano, fatto di grandi fatiche, ma anche di grandi consapevolezze.

Tornando alla mostra Sciamani. Se a Palazzo delle Albere il percorso abbraccia reperti che partono dalla notte dei tempi, come il paleolitico, per attraversare territori come Cina, Mongolia e Siberia, ma anche Africa ecc, per infine giungere ai nostri giorni per esempio con nomi come la Abramovic. Al Museo Etnografico Trentino oggetti rituali, abiti da cerimonia e dipinti evocativi, dialogano con le esposizioni del museo stesso, in un rapporto stretto fra vita rurale e apertura verso mondi altri e rituali legati alla Terra.

Tuttavia oggetti e rituali sono di difficile comprensione al visitatore dei nostri tempi che ha perso la chiave di lettura di quella connessione con le energie universali che hanno tanto l’alfabeto di una scienza perduta, più che la ritualità svuotata di significato tanto acclamata oggi. Ecco che, persa la capacità di leggere simboli e simbologia, perso l’uso di quel specifico alfabeto, l’uomo moderno si trova spesso spettatore ed attore inconsapevole di egregore evocate da novelli sciamani. Per esempio nell’uso di simbologie durante concerti di divi mondiali, oppure grandi inaugurazioni ed ancora in frame di pubblicità o film e telefilm ed ancora in veri riti istituzionalizzati che passano inosservati ma di forte potere evocativo.  Del tutto inconsapevole l’uomo di oggi  infinesi trova snaturato e quindi indirizzato al virtuale, mera illusione del tutto finta e fittizia di quell’apertura che invece è naturale nelle conoscenze sciamaniche.

Unica salvifica pezza d’appoggio, per la giusta lettura della mostra è quella offerta al Museo Etnografico Trentino, nell’incontro, ahinoi solo virtuale, ma pur sempre vitale per la comprensione, di Sergio Poggianella. Nel breve contributo audio video l’antropologo racconta il suo percorso di studi, nato durante i suoi viaggi e soprattutto vissuto nelle esperienze personali avute con sciamani e riti. Toccare con mano questa realtà altra ha forgiato nello studioso la consapevolezza della realtà di esperienze che esulano dalla normalità e razionalità. In cui la connessione con qualcosa che va al di là della materia è reale e si esprime nella materialità, sotto forma di guarigione per esempio o di esperienze di impatto e risveglio.

Non solo: forse il passaggio più incisivo è quello in cui l’antropologo si interroga sul valore che le società danno alle opere d’arte e creative. In fondo un valore convenzionale, a suo dire, basato su nessun dato di fatto. Se l’opera di un artista di grido vale anche milioni di euro, mentre un abito cerimoniale o un oggetto cerimoniale sciamanico potrebbe essere quotato pochi euro, ciò è frutto di una mera convenzione sociale. E’ qui la cartina di tornasole di una società, ossia in ciò a cui attribuisce valore. Ma è una mera attribuzione. Perchè invece per una società che riconosce l’immensa forza racchiusa in un abito sciamanico, l’opera d’arte quotata milioni apparirebbe un banale scarabocchio e nulla più.

Un po’ come nel mito della Caverna di Platone, insomma noi umani viviamo nell’ombra delle nostre possibilità di comprensione della realtà. Ridurre tutto nei binari del conosciuto poi è la forma di protezione che l’uomo adotta verso ciò che non conosce. Meglio rimanere nella caverna a guardare ombre, che uscire e vedere la realtà nel suo insieme e nella sua genuinità. Tuttavia mettere la testa sotto la sabbia rende vittime di chi invece conosce o gioca con queste forze, che possono essere positive o distruttive. Che guariscono o che invece evocano malvagità, come il satanismo e l’obbiedenza al male.

Che qualcosa ci sia al di là del qui ed ora, e al di là della materia, dovrebbe essere evidente da quel fascino che esercita pure oggi un mondo così lontano come quello dello sciamanesimo. Non per nulla dilagano film e telefilm su temi legati a miti e figure leggendarie come vampiri, lupi mannari, streghe e spiriti. Se non fossimo suggestionati da tali temi, non saremmo portati a sentire un afflato verso un qualcosa che non è solo finito. Questa pulsione verso l’infinito è sintomo che noi da soli non ci bastiamo e che c’è ancora molto da scoprire di noi e di ciò che ci circonda. Più che le scienze cognitive, i passi da gigante in tale direzione li sta facendo la fisica quantistica. Tale ramo di indagine sempre più viaggia parallelo a molte leggi spirituali espresse nelle conoscenze buddiste, indù e dei grandi maestri spirituali. Conoscenze di un alfabeto che potrebbe essere il ricordo di una scienza altamente evoluta che si è poi persa nella notte dei tempi, tornata a noi sotto forma di miti, leggende e credenze spirituali.

Sono dunque le parole dello stesso Poggianella che ci danno la chiave di lettura della mostra. Una mostra che nessuna ettichetta o postilla può e deve etticchettare o imbrigliare a favore della modernità. Ma che invece apre una via verso il ritorno a casa, quello di quando l’uomo dialogava con i misteri della natura e dell’universo sentendosi un tutt’uno con esso.

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