OVERLOAD UN LOOKING GLASS TEATRALE
Fra le tante produzioni teatrali degli ultimi anni, Overload di Sotterraneo è geniale. Un’ora e 10 tutta d’un fiato che racconta la società compressa nella velocità che uccide qualsiasi riflessione o capacità critica.
Un Premio UBU Spettacolo dell’anno 2018, e il Premio Best of Be Festival Tour 2016, per il tour in Spagna e Regno Unito, meritatissimi, per Overload che ci piace definire un Looking Glass teatrale.
Più volte in tour all’ombra delle Dolomiti, avrebbe dovuto replicare anche in questi giorni invece è stato annullato all’ultimo. Overload tuttavia è uno di quegli spettacoli che vale la pena di andare a vedere.

Fin dal suo debutto, Overload ha mostrato tutta la maturità di Sotterraneo, compagine ormai sdoganata da teatro sperimentale a teatro di circuito. Uno sdoganamento per merito visto i prodotti di questa compagnia. In Overload, prodotto cinque anni fa, ha intravisto tutti i limiti di una società incapace, per lo più, di una qualsiasi analisi critica o di ragionamento che richieda una certa attenzione.
Overload è un guazzabuglio di scene che si susseguono senza mai concludersi. E’ uno zapping televisivo di un’ora. Anzi no è l’ipnosi da tic toc, Instagram o social in cui si passa velocemente da una immagine all’altra, da un video all’altro, da un post a quello successivo. Una riconrsa continua senza mai fermarsi o soffermarsi fino alla fine della stimolazione visiva uditiva o emozionale, per scorrere a quella successiva.

E infatti in Overload la cerniera è rappresentata dall’uomo con la testa di pesciolino rosso, metafora dell’utente medio. Attenzione zero, memoria zero, emozione zero.
La fretta compagna dei nostri tempi non è il problema. Il vero problema è quel cercare continuamente qualcosa senza nemmeno sapere cosa sia. Quel rimanere sempre in superficie che non è nemmeno noia, ma sicuramente la produce. Quel non terminare mai nulla perché si fanno troppe cose contemporaneamente e si hanno troppe sollecitazioni dall’esterno.

Un vero guazzabuglio di scene che si intrecciano, si rincorrono, si interrompono a vicenda. Overload racconta tutto questo e lo fa di corsa con un ritmo serrato tirandoti dentro fino al finale che non vorresti e quindi ti addolora perché è ineluttabile. Su quel finale capisci il senso del tempo, della vita. Se ti soffermi trovi lo spessore di come vuoi vivere.
Insomma sulla metafora della rincorsa al tempo, così prezioso da sprecarlo per acquistarne, una meta sempre un pochino di tempo più in là, si gioca la carta dell’attenzione. Il prestare attenzione che diventa superficiale e ulteriore incombenza da risolvere in fretta, senza la dovuta, appunto, attenzione.
Un mondo superficiale, in fuga e per assurdo pure alla rincorsa, attirato come falene dalle luci e colori di sollecitazioni costruite e finte, disturbato dai continui rumori di sottofondo. Insomma Overload è un Looking Glass teatrale, uno specchio, che avrebbe potuto essere una occasione se non fosse stato vissuto come una ulteriore parentesi da consumare senza prestarci troppa attenzione. Overload ci aveva visto giusto e denunciava il pericolo. Quello che ci ha portati qui oggi, senza capacità critica o di analisi, alla ricorsa verso una meta sempre un passo più in là.
Overload è talmente vero che, alla sua prima, quando ebbe problemi tecnici, con tanto di addetti in scena per risolverli, il pubblico nemmeno se ne accorse e pensò facesse parte dello spettacolo. Forse proprio per questo Overload parlava di noi e di come fruiamo oppure fagocitiamo le cose. Per alcuni l’occasione per riflettere, per altri un’ora e 10 divertente. Applauso, le luci si accendono e si va a bere lo spritz al bar per vedere le nuove stories di tic toc. Sempre una stories più in là.