MARTALAR CREA UN HAFLINGER DA VAIA
Dopo la Lupa del Lagorai, il Grifone del Tesino, l’Aquila di Marcesina e il famoso Drago di Magrè, a Strembo arriva l’Haflinger di Vaia.
Firmato dall’artista Marco Martalar, in tutti i suoi 7 metri di altezza si impenna sulle zampe questa monumentale opera realizzata con le radici e i legni degli alberi devastati dalla tempesta di Vaia. Prosegue l’opera di recupero dopo la devastazione che si è abbattuta il 29 ottobre 2018 sulle foreste di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Un recupero artistico che per Martalar è anche un segno di speranza e rinascita, come spesso ha dichiarato.
Per l’occasione questa sua ultima creazione, l’Haflinger di Vaia, è un omaggio a questa razza di cavallo tipica della zona della Val Rendena. Come lo stesso Martalar dichiara. E sicuramente anche questa opera richiamerà un gran numero di persone per ammirarne la meastosità e lasciarsi stupire.
Tuttavia proprio la suggestione che hanno saputo suscitare queste opere dell’artista Martalar sono lo spunto per alcune considerazioni. E’ ancora impresso fortemente nella memoria lo stupore e sgomento di questa estate quando il 29 agosto, dell’anno corrente il 2023, le fiamme divorarono il Drago di Vaia.
Il Drago che in particolarmodo era riuscito ad attrarre un folto pubblico di visitatori arrivati anche da lontano. Forse per quella sua posizione panoramica da cui esso dominava sull’Altipiano di Lavarone. Forse per l’ottima promozione messa in azione dall’Altipiano Cimbro che attorno al Drago ha organizzato una serie di eventi compreso un sistema di percorsi per raggiungere l’opera a piedi o in bicicletta. (Intuizione felice anche per sopperire ai pochi parcheggi in loco a Magrè.) O forse per la fotogenicità dei tanti scatti condivisi in Instagram.
Eppure proprio nella sua essenza di “drago”, quest’opera chiamava al fuoco per sua natura intrinseca. Perchè nell’immaginario comune il drago è sempre associato alla sua distruzione portata da lingue di fuoco con cui nella mitologia incenerisce tutto volando minaccioso in cielo. Così in una notte estiva il Drago si è consumato in un rogo visto da tutto l’altipiano.
L’incendio del Drago di Vaia, il giorno dopo, ha sollevato un’onda di indignazione con una lunga lista di dichiarazioni e post nei social. Tutti unanimi a condannare la distruzione e piangerne la fine. Un lutto condiviso ed amplificato nell’era dei social con post molto toccanti e profondi. Fanno riflettere quindi i tanti post in cui il drago viene ricordato associato ad una forma di entità protettrice, benevola e favoleggiante. Insomma il drago umanizzato che diventa amico. E ancor più, il Drago che prende vita e si trasforma in una sorta di nume protettore.
A questo punto sorgono un paio di domande. Possibile che la nostra società, che si professa dedita alla scienza, alla logica ed intrisa di materialismo, dove non esiste più lo spazio per filosofia, spirito o fede, visti come quisquillie, abbia la disperata necessità inconscia di aggrapparsi a totem? Ed ancora, questa umanizzazione verso animali selvaggi, come la Lupa, l’Aquila, e poi animali mitologici come il Grifone, il Leone alato e su tutti il Drago, non tradisce da un lato una mancanza si conoscenza della natura e delle sue forze ma dall’altro la ricerca disperata di queste forze? Insomma una forma di elevazione verso un qualcosa che sia “altro”? Una sorta di ricordo inconscio ancestrale quando l’uomo correva al ritmo e con la natura?
Ma sorge anche una domanda circa l’arte performativa. Ossia cosa rende una performance tale? Quel rogo non sarebbe simile ad un graffito irriverente lasciato da Bansky quando era uno schiaffo al potere? Un atto di ribellione e rivolta? E ancora: in quale momento Bansky da writer illegale si è trasformato in artista da ospitare in mostre organizzate istituzionalmente. Il chè ha il sapore del cortocircuito logico. Ma apre una lunga serie di riflessioni sull’arte.
Orbene in un mondo in cui tutto ha perso di significato e in cui sfugge il ricordo delle nostre tradizioni, un mondo dove la mitologia viene scimiottata da saghe Netflix ed eroi Marvel, dove simboli abbondano in contesti del tutto avulsi e in cui tutto è dato in pasto a tutti ma sempre in modo superficiale e spesso distorto e svuotato di significato, si può trovarsi avvolti dalle spire del fascino verso un qualcosa di grande che però non comprendiamo.
Quando si è rotto il patto dell’uomo con la natura e l’oblìo del passato ha preso il sopravvento, l’uomo ha scelto la metropoli e il consumismo tacitando una parte di se che non può essere soddisfatta con la materia e che, più o meno fortemente, chiede di essere ascoltata.
A fare da catalizzatore il legno anch’esso simbolicamente nato dalla forza distruttrice della natura che prende nuova forma in un atto di dominio dell’uomo e sottomissione al pubblico che accorre per il selfie da condividere.
Così anche l’uovo in legno apparso fra le ceneri del Drago di Vaia è un ulteriore simbolo alchemico. Un simbolo di attesa e nascita. Un simbolo che attende di essere letto e interiorizzato. Ma sarà solo il tempo a dirci cosa ci riserva il futuro. Non resta che attendere e magari guardare con nuovi occhi a queste opere vive e pregne di significato che va oltre lo spazio e il tempo, così come il mistero della vita e i cicli della natura.
Sicuramente l’artista Martalar non aveva come scopo quello di smuovere così profondamente le coscienze. Tuttavia in quelle radici intrecciate, in quelle forme ispirate e nei legni recuperati, l’energia stessa della natura ha guidato la mano di Martalar indicandogli la strada e arrivare al cuore.
Le opere di Martalar in Trentino sono:
Il Drago di Magrè Info qui
Il Grifone del Tesino info qui.
L’Aquila di Marcesina info qui
La Lupa del Lagorai info qui
L’Haflinger di Strembo info qui.