CASTELLO DE LA MOT E I FANTASMI DEL PASSATO

Fra i tantissimi castelli del Trentino, vestigia di  epoche passate, ce ne sono alcuni di cui rimangono solo poche rovine e, a volte, lontana memoria.

E’ questo il caso di Castello de la Mot, anche detto Castello Belvedere, sull’Altopiano di Pinè.

Non tutti sanno che a Baselga di Pinè c’era un castello e che questo avesse un ruolo di primo piano in tempi medievali e poi anche durante il Principato Vescovile. Oggi tuttavia non ci si ricorda mai di Castello de la Mot o Castello Belvedere, poichè non ne rimane che qualche piccola porzione di mura della torre. Di conseguenza ci si deve recare là dove sorgeva per trovarne i pochi resti, oramai mangiati dalla natura che ne nasconde le tracce.

Eppure rimane pure oggi una eco di quel passato di grande influenza rivestito da Castello de la Mot, o Castel de la Mot nella dicitura locale. Infatti in frazione Valt del comune di Baselga di Pinè, troviamo il Doss de la Mot, dosso su cui si ergeva il maniero. Sulla strada che porta da Baselga a Madrano invece c’è Chalet de la Mot, punto di ritrovo e discoteca di grande richiamo in passato sopratutto negli anni 7o e 80 dei ragazzi di tutto il Trentino ma anche del Veneto.

Esiste un motivo che si perde fra storia e leggenda per cui del Castello de la Mot si è persa memoria.

Narrano leggende, ma si ritrova anche negli annali, che il Signore del Castello, il feudatario di Castel de la Mot, fosse cruento e sanguinoso, oltre che crudele. Non solo opprimeva le genti del pinetano con tasse spropositate e sopprusi, ma pretendeva lo ius prime nocti di ogni fanciulla che si maritasse e infliggeva torture e prigionia a chiunque non eseguisse i suoi voleri.

Erano i tempi bui del Medioevo in cui i nobili e potenti avevano diritto di vita e di morte su tutti, e spesso disponevano dei loro diritti per puro capriccio.

Stanchi di tanta crudeltà furono gli abitanti del luogo che ribaltarono le sorti del castello. Si narra infatti che armati di attrezzi da lavoro, falci e rastrelli o forche assalissero una notte le mura cogliendo le guardie nel sonno. Vittoriosi decapitarono il padrone del maniero e distrussero la fortificazione.

In una seconda versione della leggenda invece il crudele padrone del castello sarebbe caduto vittima dei ribelli in una imboscata. Uscito per una battuta di caccia a cavallo il nobile sarebbe stato affrontato da uomini armati di falce affilata con cui avrebbero staccato di netto la testa al loro aguzzino. Il cavallo però avrebbe continuato la corsa fino al castello allertando le guardie che si sarebbero date alla fuga per non essere sopraffatte dall’esercito aguerrito di contadini furiosi. Non potendosi vendicare sugli aguzzini, questi avrebbero distrutto mura e castello.

In virtà di tale leggenda molti anziani raccontano che nelle notti di temporale, prima dello scatenarsi della natura, si può scorgere sulla strada di Valt che porta alle stalle il fantasma di un uomo senza testa che cammina avanti e indietro  tenendo un cavallo per le briglie. Sarebbe lo spirito del sgnore de la Mot in cerca della sua testa, senza la quale non può trovare pace eterna.

Non sapremo mai se tale leggenda sia vera oppure frutto di fantasie. Tuttavia storicamente di Castel de la Mot viene riportata ufficialmente menzione nel 1160 nei carteggi vescovili. Il castello infatti sorgeva in posizione strategica. E, solo salendo al Dos de la Mot dove oggi ci sono pochi resti malamente riconoscibili come mura del castello, si potrà godere della vista che spazia dal Brenta al Lagorai passando per Bondone e Paganella fino al Baldo .

Dal castello si poteva comunicare, con fuochi e specchi, con Castel Pergine e Castello di Roccabruna a Fornace  a cui era stato assegnato il feudo. Storicamente sono ben una decina i castelli con cui si poteva comunicare in questo modo da Dos de la Mot, compreso il Castello del Buonconsiglio. Castel de la Mot era infatti feudo del Principe Vescovo di Trento che lo assegnè ai Roccabruna di Fornace.

E fu proprio qui che il Principe Vescovo si ritirò a rifugio nei momenti più concitati delle lotte con i Conti di Tirolo. Nel momento peggiore della lotta il castello passò proprio nelle mani di conte Minardo II di Tirolo e Gorizia.

Che il castello subì distruzione infine è un fatto storico accertato quando l’esercito dei Signori di Padova mise a ferro e fuoco la Valsugana radendo al suolo vari castelli fra cui Castello Belvedere alias Castello de la Mot. Era il 1349. Ed anche quando i Conti di Tirolo ripresero il potere sulle terre non ci fu la ricostruzione del castello.

Oggi rimangono solo la base del mastio e brandelli di mura.

Poco sotto il dosso rimane Maso Purga, che prende il nome dall’antico tedesco Burgstall, ossia stalla del castello. L’identificazione del nome rimane incerta. Forse è dovuta perchè per costruire il maso si usarono i resti del castello, oppure era una parte di esso, stalle per il bestiame. Si hanno tracce storiche del Maso nel 1640 quando il Principe Vescovo Madruzzo ne investì Simone de Cristalli dei Bernardi che lo aveva acquistato dai Roccabruna.

 

Inoltre vi è traccia di Maso Purga anche negli annali di Montagnaga del XVII secolo, in cui viene citato quale Maso con stanze, cucina e comodità e terre da coltivare. La sua funzione di maso si protasse nel tempo. Pure oggi è di proprietà privata.

Che l’Altopiano di Pinè fosse zona abitata in antichità e via di comunicazione lo testimoniano anche l’antica Chiesa di S Antonio a Rizzolaga. Ma va ricordato che a poca distanza ci sono i Casteleri di Lona Lases e al di là del Dosso di Costalta c’è il Passo del Redebus con l’Area Archeologica Acqua Fredda. Quest’ultima è una delle più impotanti fonderie di epoca preistorica dell’intero arco alpino.

Ma tornando al Castello de la Mot, per arrivare al castello basterà seguire le indicazioni di percorso partendo dal parcheggio dietro Chalet de la Mot. In una trentina di minuti di facile passeggiata, passando per un bosco, si arriverà sul dosso.

Lungo il sentiero si incontra un percorso di tiro con l’arco sportivo. Dal dosso si potrà scegliere di scendere a Maso Purga e di lì rientrare passando dal sentiero che costeggia il dosso e si ricollega al percorso sopra la frazione Valt.

 

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