QUARANT’ANNI DI MUSICA CON GLI AFRICA UNITE CHE FESTEGGIANO CON IL PUBBLICO A SUON DI NOTE
A raccontare questi quaranta anni di amore per il ritmo al levare è BUNNA, voce degli AFRICA UNITE, in attesa di ascoltarli dal vivo, sabato 4 Settembre alle Lochere di Caldonazzo.
La data in Trentino fa parte del COMBO SESSION TOUR, che ha portato la formazione in tutto lo stivale. Sabato il concerto inserito nella rassegna LOCHERE LIVE organizzata da Associazione One Love con il Paoli Hotel vede una lunga line up. Sul palco in attesa degli Africa Unite infatti dalle ore 17 la musica sarà quella con NIU’ TENNICI e TIZLA.
A legare il tutto nei cambio palco il dj set di YARDIE GROOVE dj.
Prevendite su: https://www.midaticket.it/eventi/concerto-unite o direttamente all’ingresso del concerto.
Un quarantennale in musica, come si festeggia?
In realtà avevamo molte aspettative e volevamo festeggiare con una grande festa i quaranta anni degli Africa Unite. Tanto che abbiamo sfruttato la reclusione durante la pandemia per lavorare al nuovo disco che avrebbe dovuto uscire nel 2021 con un grande tour.
Poi le circostanze non ci hanno permesso di organizzare la serie di live con cui si voleva far girare la nostra musica e quindi abbiamo deciso di attendere un ritorno alla normalità che ci auguriamo possa tornare presto. L’11 maggio abbiamo tentato l’esperimento del concerto in streaming con biglietto e, devo ammetterlo, sono rimasto sorpreso della risposta positiva da parte del pubblico. E’ andata bene con 1.300 biglietti acquistati, ma non c’è paragone con il live. E’ troppo freddo suonare davanti a delle telecamere e ci è mancato il rapporto fisico con il pubblico.
Così abbiamo scelto di rimandare i festeggiamenti al prossimo anno quando ci si augura ci sarà un ritorno alla normalità.
Abbiamo un Ministro della Cultura che prospettava la Netflix del Teatro e magari ci si metteva dentro pure i concerti. Proposta bocciata?
Direi proprio di si. Parlo per ciò che vuol dire fare musica.
Musica è condivisione, socialità, energia che ci si scambia fra palco e pubblico.
Mancherebbe il rapporto, la connessione vera, quella che avviene di persona, e poi quel senso di gioia e felicità che si sprigiona durante un concerto in cui si canta assieme e si balla. Insomma è una festa di suoni, colori e persone che stanno assieme.
Non riesco a concepire fare spettacolo, suonare un concerto, davanti alla telecamera e poi ciascuno che lo guarda attraverso uno schermo, magari dal divano di casa. Ci sono situazioni che vanno vissute. La tecnologia è una conquista che ha il buono del renderci più facile la vita, ma di certo non può sostituirsi alla vita, al viverla in prima persona.
L’importanza quindi di vivere un concerto e ballare. Sembra un po’ in contrasto con le misure di contenimento?
Si seguono tutta una serie di norme e va bene, tuttavia è strano vedere le persone sedute distanziate e immobili ad un concerto reggae. E’ difficile anche per noi che suoniamo rapportarci con un pubblico che sembra più quello di un concerto di musica classica, o cantautorato che più si prestano a tale situazione.
La nostra musica invita a lasciar parlare il corpo, a seguire il ritmo e quindi si trova un compromesso.
Proprio per venire incontro a tali norme questo tour lo facciamo con una formazione ridotta, mancano per esempio i fiati, proprio per venire incontro a chi organizza il concerto nei costi. Ma l’anno prossimo ci auguriamo di riportare in tour tutta la formazione intera.
Cosa vuol dire quarant’anni di musica?
E’ un traguardo importante di cui siamo orgogliosi soprattutto per quel giusto equilibrio che siamo riusciti a trovare, non solo in musica, ma anche come persone. Nella formazione ci sono stati vari avvicendamenti, con persone che sono andate, arrivate, tornate e poi io e Madaski abbiamo costruito il nostro equilibrio. Siamo diversi con ascolti diversi e quindi negli anni abbiamo coltivato progetti collaterali in cui sfogare ciascuno le sue peculiarità sonore ed artistiche.
Siamo nati per l’amore nei confronti della musica di BOB MARLEY, la sua attitudine di usare la musica per veicolare messaggi.
Musica di qualità e spunti di riflessione da dare al pubblico.
Abbiamo cercato di fare questo e credo che siamo riusciti a creare un suono riconoscibile che ci caratterizza con testi in cui affrontiamo argomenti di carattere sociale, ambientale e che facciano riflettere. Abbiamo cercato di rimanere coerenti con noi stessi. Non abbiamo abbracciato la corrente mistica del reggae, ma pur senza abbracciare tutto l’immaginario che ruota attorno a questo mondo ci siamo impegnati a dire cose e portare argomenti importanti. Credo che abiamo fatto un buon lavoro.
Un bilancio quindi positivo?
Abbiamo avuto la fortuna di fare ciò che ci piaceva e quindi proprio per questo non sentirlo un lavoro. Inoltre abbiamo avuto la fortuna di poter sempre decidere sulla nostra musica in piena autonomia.
Oggigiorno è diverso. I giovani inseguono il successo veloce nel mito del guadagno e della fama facili. Si ricorre la moda del momento per azzeccare il motivetto cult dell’estate e sperare di sfondare. Spesso e volentieri poi nemmeno è la musica la protagonista, ma lo è più il personaggio social, e questo non fa bene alla musica. E’ colpa del mercato. Si dice che non si vende più musica, ma non è così, perché oggi chi ci guadagna sono le piattaforme che sfruttano i contenuti degli artisti.
Tutto un altro mondo?
Noi ci siamo costruiti nel tempo portando la nostra musica fisicamente in giro suonando ovunque, anche gratis pur di farci sentire.
Era l’unico modo per dimostrare chi eravamo. I risultati sono arrivati nel tempo con la credibilità acquisita. Oggi invece si insegue il tutto e subito che però non poggia su basi solide.
Noi avevamo il piacere di fare un certo tipo di musica, invece oggi si insegue il consenso e si scopiazza ciò che piace alla massa.
Basi solide che fanno storia ma che hanno avuto tappe decisive?
Abbiamo suonato il più possibile registrandoci i dischi da soli addirittura incollandoci le copertine e vendendo i dischi nei negozi in conto vendita. Poi è arrivata una etichetta indipendente con distribuzione nazionale che ci ha permesso di avere un budget per fare dei video.
Poi è arrivato il contratto con Universal, ma anche in questo caso abbiamo mantenuto l’indipendenza sulla nostra musica. Abbiamo sempre consegnato il prodotto finito, mentre l’etichetta si occupava di promuovee, distribuire e vendere.
Oggi?
Assolutamente tornare ai live, quelli di prima, e quindi uscire con il disco nuovo e poi, visto che ormai la musica si ascolta così, pubblicare sui canali digitali tutta la produzione degli Africa Unite.
Prossimamente su Spotify e affini vedremo di pubblicare tutti i nostri album.
Qualche anticipazione del disco?
Come titolo abbiamo scelto “NUMERI”, in quanto ogni brano ha un numero.
Musicalmente è molto reggae con soluzioni originali ed è stato concepito come disco celebrativo.
E’ già uscito un primo singolo “Forty.One Bullets” ispirato all’omicidio di Amadou Diallo, studente della Guinea residente a New York, da quattro poliziotti che poi sono stati assolti. Si parla di razzismo, un tema attuale in ogni sua forma ovunque.
Purtroppo la storia non insegna parrebbe e l’uomo tende a non imparare dal passato.
A Caldonazzo?
Proporremo una reinterpretazione di People Pie album del 1991 che abbiamo ri registrato durante i mesi di isolamento del 2020.
Ed ovviamente i brani storici che il pubblico si aspetta.
Cercheremo di divertirci come facciamo sempre insieme al nostro pubblico, per quanto possibile con l’augurio che si torni al più presto alla normalità dello stare insieme.
Magari scatenando endorfine potrebbe dare giovamento psicofisico?
Ce lo auguriamo. Musica, movimento, gioia, giovialità, sole e aria aperta sono buone alleate della salute.
E sicuramente fanno bene al fisico e alla psiche?
Certamente sì. E la grande festa sarà sicuramente solo rimandata di un anno.