GRAUNO E IL RITO DEL CARNEVALE
Affonda le radici nella tradizione più lontana il Carnevale di Grauno che si celebra fra riti e mondanità.
Grauno tutt’oggi mantiene viva la tradizione dei riti del Carnevale, quando ancora i momenti di passaggio e le feste avevano un significato profondo, ancestrale e di collegamento fra uomo e natura, ma anche uomo e il mondo invisibile. La festa in tutto il suo splendore e interesse si tiene quest’anno fra venerdì 28 febbraio e martedì 4 marzo. Il programma completo lo si trova qui.
Tuttavia il rito della tradizione verrà celebrato nel clou della festa martedì 4 marzo con trascinamento del pino, allestimento e poi il grande falò catartico.
Oggi una frazione di 144 abitanti, Grauno è un paese che sorge in Valle di Cembra, nel Comune di Altavalle. Sebbene la Val di Cembra, nelle sue due sponde ad est e ovest del fiume Avisio, sia retaggio di vita contadina, difficile e dura, nei tempi antichi ha visto una sua ricca frequentazione come via di passaggio. Non solo infatti si attraversa la valle per raggiungere la Val di Fiemme e poi la Val di Fassa, ma in tempi antichi collegava il passaggio da Nord e Tirolo con l’Altopiano di Pinè e poi la Valsugana. Indizio ci rimane con il Sentier di Duerer, artista che appunto seguì tale via per giungere in Italia.
Anticamente la via saliva da Salorno e travalicato il Passo Potzmauer scendeva a Grumes e Grauno. Di lì si virava per Faver e passato l’Avisio si giungeva al Castello di Segonzano. Quindi si saliva attraverso la forra accanto alle piramidi di terra e la cascata del Lupo per raggiungere Bedollo. Una volta raggiunto l’Altopiano di Pinè si scendeva da Castel de la Mot ( ne abbiamo scritto qui) verso Pergine. Anticamente infatti si ha ricordo di un Castello a Grumes. Il ricordo aleggia in alcune leggende oltre che toponimi e addirittura vuole un passaggio in loco del famigerato Barbarossa.
Ma, tornando ai riti carnescialeschi, fa testo il lungo ed impegnativo oltre che minuzioso ed appassionato studio seguito negli anni da parte di Giovanni Kezich, già illustre e meritato direttore del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige.
Quindi circa il Carnevale di Grauno, pare che la sua origine affondi le radici nella notte dei tempi. Prima ancora del periodo romano i prodomi del rito ci parla di cultura retica. I Reti che oramai è assodato fossero una propagine estesa a nord di cultura etrusca. I primi etruschi, quelli molto anteriori al periodo greco romano. Quelli parte di una fiorente cultura che sta tornando alla luce. In Trentino le genti retiche si scontrarono con l’invasione da nord degli stoni, guerrieri feroci che poi diventeranno in terra natia, il Nord Europa, i Vichinghi dopo aver dato vita anche alla cultura celtica.
Siamo quindi nell’età del ferro. Ricchezza di siti abitati ne abbiamo per esempio con la testimoninaza sul sito del passo Redebus, altro passo che collegava e collega tutt’ora l’Altopiano di Pinè con la Val dei Mocheni e frequentato fin dall’antichità più remota. Passo che si collegava con la via che saliva appunto da Segonzano e Bedollo ma che poi piegava a nord.
Tornando però a Grauno e il suo Carnevale si può collegarne l’origine alla cultura antica dei grandi fuochi. Il rito del falò con cui le popolazioni adoravano il legame con Madre Terra e le altre divinità pagane per propiziare l’arrivo della primavera, abbondanti raccolti, terreni fertili, clima favorevole. Tradizioni che si sono tramandate nella cultura contadina e di cui noi oggi, cosmopoliti e inglobati nella cultura di massa abbiamo purtroppo perso memoria e spessore.
Il Carnevale di Grauno inoltre ha un valore antropologico intrinseco anche come rito di passaggio. Infatti sono i coscritti dell’annata che all’Epifania hanno il compito di recarsi nel bosco e tagliare alcuni fusti di pino. Qesti verranno trascinati poi in paese e legati alle colonne delle quattro fontane. Fase centrale del Carnevale è quella che inizia sabato antecedente il martedì grasso. Un gruppo di persone ha il compito di tagliare la pianta indicata da quello che una volta era chiamato il Saltar, compito che oggi spetta alla Guardia Forestale,
Si trasporta il maestoso pino che rimarrà deposto al limitar del paese fino al martedì grasso. Ai tempi la vendita del legname in eccedenza forniva il guadagno per le spese della festa e il viaggio nel capoluogo dei coscritti per la visita di Leva.
Il Martedì Grasso si entra nel vivo della festa. Il pino viene trascinato alla Pontèra, il luogo del falò. Per permettere la partecipazione al rituale fino al secolo scorso il giorno di Martedì Grasso era vietato qualsiasi lavoro. Tanto che chi fosse stato trovato a trasgredire subiva un processo improvvisato in pubblica piazza all’istante. Per i forestieri invece era istituita una sorta di biglietto di ingresso, una gabella. Spesso quindi si giungeva in paese con una damigiana di vino come tassa di partecipazione.
Altra fase del rito era la Comèdia, preparata in gran segreto che vedeva infine una sorta di battesimo con vino dell’albero e un invito al brindisi in vista delle Ceneri che avrebbero, con il Mercoledì delle Ceneri, introdotto alla Quaresima fatta di digiuni e penitenza. Infine i coscritti agghindati dagli abiti tradizionali favevano risuonare le vie e piazze con canti e suoni. Con le fiaccole si illminano le vie fra invocazioni propiziatorie di abbondanza e frutti per un anno positivo per la comunità.
A questo punto la festa arriva alla Busa, dove si da il via al grade Falò sempre accompagnato da invocazioni e canti propiziatori. Alla “Busa” sotto le Poze è già stata approntata la grande buca creata in un dosso costituito quasi interamente da terriccio nero e carboni, frutto di secoli e secoli di immutabile rito. Si dice che un tempo la buca, oggi di 3 metri circa, sia stata di 7 metri, e che sul fondo giaccia una lastra di porfido dove poggiava fin dal medioevo il grande pino di carnevale.
Tra un tiro e l’altro, un raddrizzamento e qualche momento di paura ed emozione, alla fine il pino si erge ritto ed imponente al cospetto dell’intera valle, e sorvegliato dall’intero paese. Segue la fase dell’addobbo che, se un tempo consisteva esclusivamente in fasci di “pàia e vincèi” richiesti nel paese e “tràti gio da i pontesèi”, attualmente è arricchito da covoni, “pèlez”, e fasci di rami. L’operazione non è facile: è necessario passare di ramo in ramo, salire fino alla cima, assicurare tutto nel miglior modo, così che lo spettacolo della sera riesca alla perfezione.
Ed al giungere del buio al rintocco dell’Ave Maria, il corteo, i canti, i coscritti e gli sposi, ed infine il grande falò giungono al culmine nell’allegro rumore delle “bolìfe”, mentre i presenti leggono segni di profezia per l’anno che verrà, ed ancora una volta si compie il ciclo immutato del “Carnevàl de Graun”.
Per chinque fosse affascinato da un Carnevale ricco di storia e ritualità, l’appuntamento è assolutamente da non perdere.