BODKIN LA RECENSIONE
In un mondo in cui la narrazione è più importante della realtà, arriva su Netflix la mini-serie Bodkin. Sette episodi, che mescolano il giallo con la commedia, intrisi di clichè e stereotipi pur pescando nella realtà.
Firmato dalla coppia Michelle e Barak Obama alla produzione, Bodkin è una serie televisiva irlando–statunitense ideata da Jez Scharf e distribuita su Netflix.
Insomma dopo Il mondo dietro di te, gli Obama si avventurano in questa nuova pellicola. Ma, uscendo da un territtorio conosciuto, quello del proprio mondo, scivolano su una buccia di banana, ossia lo sguardo superficiale, fatto di luoghi comuni e giudicante, verso un mondo che non conoscono. Non per nulla, la serie in cima alla classifica dei più visti su Netflix, pare stia facendo infuriare Irlandesi e Inglesi. Non si perdona infatti questo ritratto da cartolina per turisti di un mondo che non esiste più, in cui si disegna, quasi con una vignetta satirica, lo stereotipo irlandese.
E forse questo è ciò che più stride, per quello che comunque si delinea come uno spettacolo che ti incolla allo schermo, episodio dopo espisodio, per vedere come va a finire. Perchè in se e per se, in realtà la trama, benchè ingarbugliata, regge, l’intrigo non è mai banale o scontato, la matassa finisce che la vuoi dipanare e quel humor a volte rasente l’assurdo da un tocco di classe che smorza la cupezza della situazione.
La vita in fondo spesso è gretta ed ironica allo stesso tempo, dipende se si ha la finezza per riderci sopra e cogliere il buffo delle situazioni, anche quelle serie o tragiche.
Eppure nulla è lasciato al caso. E molto ci fa da specchio della nostra società, ma in modo così sottile che quasi non te ne accorgi. Ed ecco che il dibattito è tutto attorno al giornalismo oggi. Che ne esce con le ossa rotte. Non a caso infatti il protagonista è un podcaster americano a cui fa da elter ego una giornalista d’inchiesta in disgrazia. Ambedue in cerca di se stessi e di una rivincita, in quel paese dimenticato da Dio, dove gli abitanti sembrano tutti ingenui personaggi usciti da quelche vecchio e polveroso libro sgualcito di storie irlandesi.
A Bodkin parrebbe che il tempo si sia fermato. Un poccolo borgo sperduto nella campagna, dove i servizi sono quasi inesistenti e tutti fanno di tutto in modo approssimativo e fuori dai canoni. Non si vede tecnologia eppure tutti sono appassionati di podcast e googlano informazioni sui tre forestieri. Per cui senza ostentarla, la tecnologia è parte integrante di questa società rurale.
Così la domanda della pellica è: cos’è oggi il giornalismo?. Da un lato raccontare la verità, costi quello che costi, passando pure sopra i cadaveri. E non in senso metaforico in Bodkin. Di contro invece abbiamo la narrazione che deve fare audience e i famosi mi piace o click per monetizzare. La narrazione implica sempre lo storytelling con cui creare atmosfera e catturare il pubblico. Si infarcisce, si va di fantasia, si divaga e spesso ci si dimentica i fatti a favore dell’ego di chi racconta. O a favore di pubblico.
Non a caso in uno scontro fra i due protagonisti, è la giornalista stessa a dire che il giornalismo è raccontare i fatti, mentre i podcast sono pornografia del racconto. Così da soddisfare il voyerismo del pubblico.
Non male l’intuizione degli Obama di portare in tv il podcast, che poi è figlio di tanto finto documentarismo televisivo. Interminabili ricostruzioni, più o meno vere, di cruenti fatti di cronaca, prodezze di serial killer, mogli o mariti assassini. Un genere molto amato in America e poi importato in tutto il mondo anche in Italia. Finte ricostruzioni con attori che interpretano i protagonisti o finte interviste ai protagonisti, magari di fatti ispirati a veri episodi di cronaca nera.
E così è con Bodkin, che si ispira per certi versi a fatti misteriosi di sparizioni e omicidi realmente accaduti in Irlanda.
In fondo intrighi e misteri hanno sempre appassionato l’uomo, altrimenti non si spiegherebbe il successo che dalla notte dei tempi mantiene l’arte del pettegolezzo.
E Bodkin è un concentrato di segreti, a volte condivisi per un patto sociale di mutuo equiibrio. In cui c’è chi sa, chi invece ne sa una versione, chi solo un pezzetto, chi crede di sapere ma non sa. Tutti complici del patto omertoso, in quanto tutti coinvolti più o meno e quindi complici nel segreto. Ognuno a difendere il proprio pezzettino. Poi, come in tutte le favole dai tempi del medioevo a noi, arriva l’elemento estraneo a gettare scompiglio, quello che non ha pezzetti di cuore o interessi coinvolti e può quindi alzare il tappeto e riordinare il puzzle.
ATTENZIONE DA QUI SPOILER
Dopo il suicidio di un suo informatore, la giornalista investigativa Dove è costretta a lasciare Londra e viene inviata dal suo direttore di giornale nella natia Irlanda a Bodkin. Qui si unisce al celebre podcaster Gilbert Power e alla ricercatrice Emmy, di cui si ritrova a fare suo malgrado da balia, per realizzare un podcast true crime sulla misteriosa scomparsa di tre giovani avvenuta una ventina di anni prima a Bodkin. Il loro tentativo di scoprire la verità viene accolto con ostilità dalla comunità locale. Inizialmente bonariamente vengono tirati intorno con distrazioni da turisti e bugie. Poi si passa alle minacce più o meno velate a atti di forza.
Se a Bodkin tutti nascondo un segreto e nulla spesso è ciò che appare, pure i tre hanno una bella lista di scheletri nell’armadio. Tuttavia quel dipanare una matassa sepolta 20 anni prima durante la festività del Samhain, porta anche i tre a ritrovare se stessi, più o meno.
Così fra pinte di Guinnes, giochi di altri tempi, colossali bevute, improbabili camminate in mezzo al nulla, gli abitanti di Bodkin, loro malgrado dovranno fare, ciascuno, i conti con i propri fantasmi. Tutto ruota attorno alla sparizione di tre ragazzi e al conseguente insabbamento da parte del capo della polizia locale di responsabilità e prove. Non solo. A Bodkin abbiamo anche un crudele e pericoloso trafficante che vive sotto mentite spoglie. Sebbene tutti a Bodkin sanno chi sia. Eppure coprono il trafficante, tutt’ora in attività, perchè così coprono anche il proprio demone e quel pezzetto di segreto che se ne sta in fondo alla palude.
Di contorno abbiamo due improbabili agenti dell’Iterpol, vere macchiette di se stessi Come a dimostrare l’inutilità delle forze dell’ordine, anche quelle super speciali.. Non manca nemmeno una isoletta con un convento, di suore che non sono vere suore, ma vendono emozioni mistiche ai turisti. Un medico legale con una figlia che per 10 euro fa ispezionare di nascosto cadaveri a sconosciuti. Una biblioteca d’altri tempi in cui si tengono ancora i giornali dalla prima edizione ad oggi. Il digitale nemmeno l’ombra. E così, via dicendo. Insomma una parodia dell’Irlanda ad uso e consumo di una trama che pare uscita da uno dei romanzi di Agatha Christie.
Ma nulla è lì per caso. Narrazione e storytelling sono il nuovo giornalismo, per gli Obama, quello ad uso e consumo della pancia del pubblico per distrarlo dai fatti, quelli veri. Così passa in secondo piano la responsabilità nei fatti accaduti a favore del pathos emotivo da suscitare che trasforma i cattivi in buoni. Si sorvola per esempio sul tentativo di strage di un uomo senza scrupoli, a favore invece di tutto il contorno tra il surreale e il melenso. Così come l’epilogo in cui la vera giornalista deve dimettersi perchè il potere che lei ha smascherato non la vuole tra i piedi e in Bodkin diventa un dato di fatto, come a dire, “è così che funziona, zitti e muti. Intanto godetevi la storia”.
E poi abbiamo un ulteriore specchio, quello legato alla mancanza di fede del nostro tempo. Ancora una volta non si parla d’altro che di new age, riti pagani come il Samhain, di luoghi di culto come il monastero. Eppure, sebbene si metta tutto in scena, rimane vuoto. Vuoto di singnificato e di valore. Il monastero si scopre che in realtà è un acchiappa turisti in cerca di esperienze mistiche servite attraverso esperienze di meditazione, yoga ecc magari condite da the ai funghi allucinogeni. Così uno se ne torna a casa contento di quell”incontro con il divino e il mistico. Peccato che così non sia. E, non ci ricorda forse tanta, troppa società di oggi? Superficiale e facilona, in mano a furbacchioni senza rispetto, senza anima. Magari pure convinti di fare la cosa giusta per di più.
Centro nevralgico del mistero il monastero viene presentato come luogo di rifugio per disperate, magari donne che devono nascondere una gravidanza, o che sono tossicodipendenti, o che devono lasciare le proprie figlie perchè non riescono ad occuparsene. Insomma un’ultima spiaggia che però nasconde inquietanti segreti. E uno dei fatti di cronaca a cui si ispirano gli Obama è appunto il ritrovamento di fosse comuni di scheletri di bambini in un monastero irlandese, per esempio. Ma quante altre storie vere potrebbero rispecchiarsi in quel monastero, volendo essere sinceri. E qui si potrebbe aprire un enorme capitolo sul ruolo della chiesa nella società e nella storia del mondo. Ma la digressione sarebbe troppo lunga.
Bodkin è un po’ un’ultima spiaggia. Il luogo dove nascondersi e vivere lontani dal mondo. Parrebbe. Ma esistono ancora i luoghi così, oggi?. E se esistono, gli Obama ci tengono a mostrarceli come inferni o purgatoi da cui è meglio stare alla larga. Luoghi da evitare, luoghi da cancellare. Meglio il comfort della civiltà, magari in una bella città smart così rassicurante. In subliminare l’idea arriva.
Come spesso succede anche Bodkin quindi ha diversi piani di lettura. Ci si può fermare alla superficie e quindi lascirsi intrigare dal thriller condito da ironia ed humor. Ma se si senti stridere qualcosa, tipo buchi nella trama che deviano dalla narrazione di cui si fatica a mettere a fuoco il senso. O se ci si accorge che c’è un retrogusto che ci tormenta. allora si deve scavare e decodificare il codice per cui gli Obama si sono impegnati a produrre quello che apparentemente appare un semplice prodotto di intrattenimento. Ed il gioco è fatto.