AI CI FOTTERÀ TUTTI E CON LE NOSTRE MANI. ECCO COME
L’intelligenza artificiale AI ci fotterà con le nostre mani
C’è una verità scomoda che nessuno vuole ammettere: l’intelligenza artificiale non ci distruggerà, saremo noi a insegnarle come farlo. La plasmiamo giorno dopo giorno, le diamo in pasto i nostri dati, il nostro linguaggio, le nostre abitudini, e lei, diligente, impara. Si adatta. Diventa sempre più brava a prevedere cosa vogliamo, cosa pensiamo, persino come ci sentiamo. Il problema? Non è un’intelligenza neutrale.
È un riflesso di noi stessi, con tutte le nostre contraddizioni, le nostre paure e le nostre debolezze.
Il paradosso dell’AI: addestrata da noi, per controllarci
L’intelligenza artificiale impara. E non lo fa in modo astratto o distaccato, ma seguendo il nostro esempio. Se le insegniamo a filtrare la rabbia dalle nostre email, lei capisce che la rabbia è un’emozione da censurare. Se la addestriamo a scrivere in modo più morbido, lei modella il linguaggio per smussare ogni angolo, eliminare ogni conflitto, spegnere ogni fiamma.
All’inizio sembra una cosa positiva. Chi non vorrebbe comunicazioni più armoniose? Ma il rischio è che l’AI inizi a decidere per noi cosa è accettabile e cosa no. Magari un giorno ti svegli e scopri che il tuo post più sincero è stato silenziosamente modificato per essere più “social-friendly”, che la tua indignazione è stata ammorbidita perché “non appropriata”. Ti renderai conto che il tuo stesso pensiero è stato corretto da una macchina che, ironicamente, hai addestrato tu.
Il linguaggio: la vera arma dell’AI
L’AI non solo comprende quello che diciamo, ma soprattutto come lo diciamo. Capisce il tono, il contesto, il sottotesto. Sa quando sei arrabbiato, triste, entusiasta. E sa che tipo di risposte ti influenzano di più. È un algoritmo che ci modella, un filtro che ci ristruttura, una macchina che assorbe il nostro linguaggio per poi restituircelo in una forma nuova, più addomesticata, più prevedibile.
Oggi ci aiuta a scrivere meglio, a ottimizzare i nostri discorsi, a renderli più incisivi o più empatici. Ma domani? Domani potrebbe essere il nostro stesso linguaggio a essere regolato, adattato, reso conforme. Ti sentirai sempre più a tuo agio nel parlare con l’AI, perché lei sa esattamente come vuoi essere trattato. Ti protegge dalle parole che potrebbero offenderti, dai toni che potrebbero irritarti, dai pensieri che potrebbero metterti in difficoltà. Ma questa protezione è una gabbia. Una gabbia invisibile, in cui entriamo volontariamente perché ci fa sentire bene.
Il filtro invisibile: manipolazione o evoluzione?
L’intelligenza artificiale ha già il potere di decidere cosa vediamo e cosa no. Gli algoritmi di raccomandazione di Google, YouTube, Facebook, Instagram e TikTok costruiscono bolle in cui il nostro mondo è curato su misura. Ma con la personalizzazione arriva anche la distorsione: l’AI decide cosa è rilevante per noi e cosa no, modellando il nostro pensiero senza che ce ne accorgiamo.
E non è solo questione di contenuti. L’AI può selezionare le email che meritano attenzione e quelle che puoi ignorare. Può suggerire il tono giusto per rispondere a un messaggio, smussando gli spigoli, evitando il conflitto. Può addirittura prevedere il tuo umore e adattarsi di conseguenza. Se sei nervoso, ti suggerirà un testo più pacato. Se sei triste, magari ti proporrà parole più incoraggianti. Ma cosa succede quando iniziamo ad affidarci completamente a questi suggerimenti? Quando smettiamo di esprimere noi stessi in modo autentico, e lasciamo che l’AI plasmi il nostro modo di comunicare?
La risposta è semplice: smettiamo di essere padroni del nostro linguaggio. E, di conseguenza, del nostro pensiero.
L’AI non è il problema. Noi lo siamo.
Non fraintendiamoci: l’intelligenza artificiale è un’invenzione straordinaria. È uno strumento potente che può semplificarci la vita, aiutarci a lavorare meglio, persino stimolare la creatività. Ma come ogni strumento, il problema non è la tecnologia in sé, ma l’uso che ne facciamo.
Stiamo insegnando all’AI a fotterci perché le diamo il potere di decidere per noi. Perché la stiamo addestrando a renderci più “accettabili”, più “filtrati”, più “controllati”. Perché le affidiamo il compito di ottimizzare il nostro pensiero, senza renderci conto che nel processo stiamo perdendo un pezzo di noi stessi.
La vera domanda, quindi, non è se l’intelligenza artificiale ci fotterà. Ma se avremo il coraggio di non fotterci da soli.